Dott.ssa Berizzi

Spazio alle interviste – Dott.ssa Marianna Berizzi

In questo nuovo articolo dedicato alla mia rubrica ‘Spazio all’esperto’ riporto l’intervista alla Dott.ssa Marianna Berizzi, psicoterapeuta cognitivo comportamentale presso il centro di psicologia clinica di Bergamo.

Con la Dott.ssa Berizzi abbiamo dato vita ad una serie di incontri che verranno divulgati attraverso il mio canale YouTube e che si concentreranno su tre elementi fondamentali:

1. Comunicazione
2. Identità digitale e disinibizione  (grooming e sexting)
3. Fenomeni più clinici Hikikomori
Di seguito riporto alcuni tra i passaggi più significativi del primo incontro. Buona visione.

Crismer :

In un suo intervento in cui parlava di comunicazione attraverso i canali social lei ha detto: “la domanda che ci possiamo porre è: davvero comunichiamo?” Spesso si ha l’impressione di aver parlato, di esserci visti, ma in realtà si ci è scambiati dei messaggi; forse più che comunicare si è arrivati a informare dichiarare o notificare. Quello che succede sui social è che spesso si notifica. Gli ‘emoticon’ sono solo sfumature … come giustamente lei afferma, ma non ci permettono molto spesso di interpretare correttamente il pensiero dell’altro.

Ci può spiegare un po meglio dottoressa questo aspetto così importante?

Dott.ssa Marianna Berizzi:

Penso che la comunicazione attraverso i social e le chat, se non correttamente seguita, se non correttamente curata, rischia di diventare un regalo di natale acquistato il 24 sera mentre i negozi chiudono; perché porto questa similitudine? Perché voglio partire dall’etimologia del termine comunicare che deriva dal latino “CUM MUNUS” dove Munus significa dono e, nell’atto della comunicazione noi possiamo trovare come dono fatto, come dono dato l’empatia, l’umanità, l’interesse e del coinvolgimento in quel contenuto, in quello scambio.
Spesso ho rilevato che nelle comunicazioni, negli atti comunicativi che, sottolineo nuovamente, tendono ad essere più notifiche o addirittura dei soliloqui delle magnificazioni del sé e quindi l’incapacità di riconoscere che ci sia un interlocutore, si tende ad essere frettolosi ad andare di fretta; abbiamo fretta e quindi non possiamo stare attenti nella scelta del termine ma soprattutto nell’interpretazione di quel termine.

Ed ora entro nel dettaglio..

Romanticamente potremmo pensare che dopo tante parole al vento siamo tornati in modo romantico all’atto delle missive, delle lettere che ci si scambiava quando ancora non c’era la possibilità di viaggiare o la possibilità di poter raggiungere l’altra persona in tempi brevi.
La missiva, la lettera, era sì un canale scritto ma permetteva di far decantare perché la comunicazione veniva trasmessa, veniva accolta e una volta accolta la si poteva far decantare prima di rispondere e quindi una volta interpretato a pieno quello che l’altra persona voleva trasmetterci, a nostra volta potevamo dare atto ad una risposta che prevedeva nuovamente la trasmissione, l’accoglienza da parte del nostro destinatario e così via in un circolo virtuoso.

Ribadisco che invece oggi in maniera assolutamente contemporanea alla nostra civiltà e la nostra cultura occidentale che si basa sull’efficienza oltre che sull’efficacia, noi andiamo di fretta e dunque cerchiamo di essere “multitasking” anche nell’atto comunicativo fatto attraverso i social: perché?
Perché questo ce lo permette, quando noi ci troviamo a scambiare delle battute contemporaneamente potremmo essere presi a fare dell’altro, così come mentre siamo in attesa dello scritto dell’altra persona potremo distrarci e potremmo aprire un ennesimo file.
Ma noi in qualità di esseri umani abbiamo risorse finite e dunque l’essere multitasking talvolta diventa un onda che va contro di noi. E allora l’attenzione, quell’empatia, quella partecipazione vengono meno e ci limitiamo semplicemente a leggere e a scrivere quello che noi vogliamo dimenticando che l’altra persona, come noi, è portatore di un patrimonio lessicale e culturale che potrebbe differire dal nostro e quindi un termine neutro che potrebbe essere “ho comprato una macchina” potrebbe evocare in noi aspettative e immagini ben diverse da quelle che l’altra persona sta cercando di trasmetterci.
Quindi o incalziamo con delle domande, ma è molto difficile che questo accada attraverso uno scambio in chat, oppure costruiremo un nostro microcosmo, un nostro punto di riferimento che ahime, via via anziché farci convergere rischierà di rifarci divergere. Non a caso più studi testimoniano come all’interno di gruppi è sufficiente uno scambio di sette otto battute per arrivare ad avere un tono polemico se non addirittura reattivo e aggressivo.

Crismer :

Le sue parole hanno evidenziato chiaramente un problema che tutti viviamo a prescindere dalla fascia d’età a cui apparteniamo.
Mentre stava parlando riflettevo su una domanda importante che credo lei possa, dal punto di vista anche clinico, dare una spiegazione così da chiarire i nostri dubbi.. Pensando ai giovani,  che sono abituati a “tutto e subito” e quindi, come giustamente diceva lei, a questa illusione del multitasking;  sono veramente in grado di comunicare e allo stesso tempo mandare email, whatsappare … in realtà è un reale vantaggio o ci stiamo incanalando in una forma comunicativa malsana?

Dott.ssa Marianna Berizzi:

Soffermandoci sulla fascia dei giovani io mi sento ottimista nel senso che essere giovani significa anche essere in pieno metabolismo e quindi una elasticità mestica, un’elasticità neuronale meravigliosa e quindi i nostri ragazzi potrebbero davvero imparare a comunicare anche con questa lingua.

Noi eravamo soliti pensare che nei primi 15 anni di vita fosse opportuno introdurre la seconda lingua francese, inglese o tedesco che sia.
Per la plasticità dell’apprendimento probabilmente i nostri ragazzi potrebbero apprendere questa lingua e diventare bilingue sapendo quelle che possono essere le sfumature e le differenze proprio perché non hanno quel patrimonio che si portano in valigia ormai statico, ormai strutturato che abbiamo noi adulti. Quindi i ragazzi per tentativi ed errori potrebbero anche costruire un linguaggio, magari utilizzato in certe situazioni,  con il quale riescono a scambiarsi non tutti ma alcuni contenuti, dei buoni contenuti.

Siamo noi adulti che rischiamo invece di dare come modello una comunicazione, attraverso i social e le chat, limitante e limitata perché ormai il nostro patrimonio lessicale e culturale di riferimento è strutturato quindi siamo noi più frequentemente dei ragazzi che incappiamo nei “misunderstanding”.

Forse un ragazzo è anche disposto a fare una domanda in più oppure a chiarirsi faccia a faccia in un secondo momento ma noi strutturati senza necessariamente essere disempatici o narcisisti, ma semplicemente con una valigia fatta di 30 anni di esperienza abbiamo fretta, corriamo… e pensiamo che quello scambio abbia quel tipo di significato e ci fermiamo,  non siamo più curiosi di entrare nell’universo mondo dell’altro che invece in uno scambio diciamo fisico, dove il canale comunicativo non è quello scritto ma è quello verbale e dove saremo bene o male costretti ad accettare o di incontrare grazie alla mimica, alla pantomimica e a tutte quelle sfumature della comunicazione non verbale che appunto, come lei ha ben detto, ne emoticon ne emoji possono sostituire.

L’alzata del sopracciglio è un paraverbale. Ma l’ emoji, l’emoticon non potrà mai essere appieno l’alzata del sopracciglio di quel volto, di quel viso più o meno  familiare.

Ringrazio la Dott.ssa Marianna Berizzi per la sua chiarezza e disponibilità.

Crismer

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